Nuova intervista di Portfolio Summer. Oggi Davide Romano intervista Pier Paolo Soldaini, trader indipendente e analista tecnico e finanziario, curatore del blog XTraderNet, nonchè autore del report operativo distribuito ogni mercoledì agli iscritti del blog e dal sito web Finanzaoperativa.com.
Soldaini ci parla delle dinamiche che caratterizzeranno nel prossimo
futuro gli indici di Borsa (Ftse Mib, Dow Jones e Nikkei) e ci dà
qualche dritta su oro e investimenti azionari.
1) Partiamo dall’indice nostrano: da un anno ormai continua a muoversi tra i 15mila e i 18 mila punti. Cosa prevede per i prossimi mesi? verranno rotte queste barriere? E in che direzione?
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Cominciamo col dire che l’approccio previsionale ai mercati finanziari è
del tutto fuorviante. Mi spiego meglio: non esistono tecniche a livello
grafico o statistico che consentano di prevedere esattamente dove sarà
un mercato, o un qualsiasi altro valore mobiliare, entro un determinato
periodo di tempo; e soprattutto non esistono i cosiddetti guru
dei mercati finanziari, cioè quei “superesperti” che nell’immaginario
collettivo, in base alla propria esperienza, avrebbero la capacità di
effettuare previsioni certe o comunque con un elevato grado di
approssimazione. A mio modo di vedere l’approccio più corretto ai
mercati finanziari è quello di tipo probabilistico. Le tecniche di
analisi, sia di tipo fondamentale che grafico/quantitativo, consentono
cioè di assegnare un certo grado di probabilità al verificarsi di un
determinato evento piuttosto che un altro. Il fatto che l’indice al
quale Lei si riferisce, cioè il Ftse Mib40, si muova da circa un anno
tra i 15000 e i 18000 punti, rende assai probabile che nei prossimi mesi
questo movimento in trading range prosegua, e che il mercato azionario
italiano rimanga in una fase neutra di medio orizzonte temporale.
Considerando però la forte correzione del mese di giugno (spostando
quindi la prospettiva di analisi nel breve termine) che ha riportato i
valori nella parte bassa del range, non mi stupirei se l’area dei 15000
punti venisse violata al ribasso nei prossimi giorni, con un
approfondimento in una fascia di valori compresa tra 14500 e 14700
punti.
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Se invece dovessi ragionare in un’ottica di lungo termine, quindi
in chiave strategica, effettuando alcune considerazioni di carattere
fondamentale, non potrei fare a meno di notare il forte decoupling,
la forte dicotomia, che si è venuta a creare tra la Borsa italiana e
quelle degli Stati Uniti e della Germania. La nostra Borsa negli ultimi
due anni è sempre rimasta molto vicina ai precedenti minimi del 2009
(segnati attorno ai 12300 punti e ritoccati nel luglio 2012), mentre
quelle degli Stati Uniti e della Germania non solo hanno recuperato
tutto il terreno perso in seguito alla crisi, ma hanno addirittura
segnato nuovi massimi storici superando i livelli del 2007. Per
comprendere bene le proporzioni di questo divario basterà osservare che
il paniere dei primi quaranta titoli italiani quotava attorno ai 44000
punti nell’estate del 2007 e oggi rimane ancorato ad un terzo di quel
valore. Un gap enorme, che in termini relativi sfiora il 70%, a mio
avviso non giustificabile sebbene le economie statunitense e tedesca
presentino delle forti differenze con quella italiana in termini di
flessibilità, produttività ed efficienza, e quindi in termini di
prospettive di ripresa. Teniamo conto inoltre che nel paniere italiano
pesano in particolar modo i titoli bancari, e che il sistema bancario
italiano è sostanzialmente il più solido in Europa proprio perché il
meno esposto ai debiti sovrani. Quando il mercato si accorgerà che
l’equity italiano è stato penalizzato oltre misura, e che ai prezzi
attuali ci sono molte occasioni di acquisto, l’indice Ftse Mib non potrà
fare altro che salire. Quindi in un’ottica di lungo periodo direi che
le probabilità che la soglia dei 18000 punti venga superata al rialzo
siano molto elevate, e che potremmo rivedere l’indice Ftse Mib in una
fascia di valori compresa tra 23000 e 24500 punti molto prima di quanto
possiamo immaginare.
2) Passiamo ora agli Stati Uniti: il presidente della Fed sembra ottimista sulle prospettive della ripresa. In effetti il Dow Jones dal novembre 2012 è passato da quota 12.500 a 15.500. Ci sono ancora margini di crescita?
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Se Le dicessi che l’indice Dow Jones ha margini di crescita fino a 30000
punti, dopo che in realtà ha già più che raddoppiato i corsi dai minimi
del 2009, La farei sicuramente sorridere. C’è un’analisi dell’indice in
questione che tengo nel “cassetto” da circa due anni e che non mi
decido mai a pubblicare sul mio blog. Si tratta di un grafico di
lunghissimo periodo che parte dal celeberrimo crollo del 1929, che ho
convertito su scala logaritmica in maniera tale da raffrontare meglio,
al colpo d’occhio, le variazioni in archi di tempo così estesi. Per
rendere più puntuale l’analisi occorrerebbe anche deflazionare la curva
(soprattutto per il periodo degli anni ’70 e ’80 durante i quali
l’inflazione ha avuto un impatto notevole), ma questa operazione
andrebbe solo a complicare l’analisi senza peraltro aggiungere nulla di
rilevante rispetto alla sostanza di quello che intendo dire. Nel grafico
si possono individuare con precisione cinque grandi cicli primari della
durata approssimativa di 15/20 anni, che si intersecano parzialmente
tra loro, tre dei quali sono neutri e due rialzisti. Nel primo di questi
cicli, che va dal 1935 al 1950, il Dow Jones si è mosso
approssimativamente tra i 100 e i 210 punti ad un valore medio di 155
punti. Il secondo ciclo, che si interseca, come detto, col primo, è
rialzista e parte dal 1942 e si conferma nel 1950 portando il valore del
paniere da 100 a 1014 punti esattamente all’inizio del 1966. Il terzo
ciclo, di nuovo neutro, va dal 1962 al 1982 e vede il Dow Jones muoversi
in un range compreso tra 524 e 1067 punti ad un valore medio di 730/740
punti. Nel 1982 parte il nuovo ciclo rialzista che porterà l’indice
americano a più che decuplicare il proprio valore fino a 11900 punti
esattamente diciotto anni dopo, all’inizio del 2000. Quindi scopriamo
che dal 1998 ad oggi ci stiamo muovendo in una fase neutra (il quinto
ciclo, e lo si vede ancora meglio nel grafico dell’indice S&P500),
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durante la quale il Dow Jones si è mosso attorno ai 10000 punti in un
range compreso approssimativamente tra 7000 e 14000 punti. Il movimento
di superamento (breakout) della parte alta del range, al quale abbiamo
assistito negli ultimi mesi, potrebbe segnare proprio la fine di questa
fase neutra e l’inizio di un nuovo ciclo espansivo destinato a
caratterizzare i prossimi vent’anni. Adesso facciamo un salto indietro e
proviamo a pensare se Lei mi avesse fatto questa intervista nel 1982
(in piena guerra fredda, con due shock petroliferi alle spalle,
inflazione galoppante e pessimismo piuttosto diffuso) e io le avessi
detto che il Dow Jones avrebbe raddoppiato il valore da 1000 a 2000
punti, dopo che era già cresciuto da 770 a 1070 punti in quattro mesi.
Sicuramente anche allora avrebbe sorriso. In realtà l’indice impiegò
meno di quattro anni a raggiungere quel target. Facendo un cenno anche
ai fondamentali basterà ricordare che uno studio dello scorso aprile
rivelava che il rapporto medio prezzo/utili (cosiddetto price/earning)
delle principali società americane quotate risultava nettamente
inferiore alla media a dieci anni, ciò si traduce nel fatto che le
azioni americane risulterebbero, secondo quel rapporto, ancora a buon
mercato. Detto questo resta possibile che il Dow Jones rientri nel range
scendendo ancora fino a 10000 punti, e che l’attuale fase neutra venga
prolungata per altri tre/cinque anni, prima dell’inizio del nuovo ciclo
rialzista. Ma in ogni caso, alla luce delle considerazioni effettuate,
l’ipotesi dei 30000 punti La farebbe ancora sorridere?
3) Andiamo ora in Giappone: prevede un continuazione del trend
positivo del Nikkei? E per quanto riguarda il cambio euro/yen, quali
sono le previsioni per l’estate?
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Più che di trend positivo parlerei piuttosto di “fiammata speculativa”,
considerando che l’indice Nikkei ha quasi raddoppiato il valore nel giro
di sei mesi: da 8500 punti è arrivato a sfiorare i 16000 lo scorso
maggio. La volatilità è piuttosto elevata e i corsi si sono
ridimensionati fino a 12400 punti a metà giugno per poi risalire fino a
14500. La causa di questa fiammata speculativa è da attribuire alla
politica monetaria decretata nei mesi scorsi dalla Banca Centrale
giapponese, che definire fortemente espansiva sarebbe un semplice
eufemismo. L’autorità monetaria ha infatti deciso di iniettare nel
sistema economico qualcosa come 140mila miliardi di yen in meno di due
anni, che al cambio attuale corrispondono a circa 1400 miliardi di
dollari americani, allo scopo di uscire da una situazione
deflazionistica che va avanti ormai da quasi quindici anni. Una manovra
di questa portata non ha precedenti tanto che qualcuno l’ha definita “il
più grande esperimento monetario di tutta la storia”. Tutta questa
liquidità deve chiaramente trovare uno sfogo da qualche parte. E’ un po’
come aggiungere acqua ad un recipiente già colmo e sotto pressione: il
liquido cercherà una via di fuga e zampillerà fuori verso l’alto da
qualche buco del recipiente. Mi rendo conto che l’esempio è fin troppo
semplicistico ma rende l’idea in maniera molto efficace.
La gamba
rialzista dell’indice Nikkei rappresenta lo zampillo d’acqua generato
dall’enorme iniezione di liquidità. Dato che la politica espansiva
continuerà fino alla fine del prossimo anno è evidente che il mercato
azionario giapponese sarà destinato a registrare una volatilità ancora
piuttosto elevata, legata non solo all’iniezione di liquidità, ma anche
al fatto che l’obiettivo di uscire dalla trappola deflazionistica venga
realizzato o meno. Se l’azione della Banca Centrale nipponica dovesse
rivelarsi inefficace l’indice azionario rischierebbe di sgonfiarsi
rapidamente verso i 10000 punti, altrimenti i corsi azionari giapponesi
potrebbero continuare a rafforzarsi con un obiettivo che si potrebbe
individuare nell’intorno dei 18000 punti. I riflessi di questa politica
sulla valuta nipponica sono di facile intuizione: lo yen sarà destinato a
svalutarsi ulteriormente nei confronti delle principali divise
mondiali, in particolar modo nei confronti del dollaro soprattutto se le
politiche monetarie espansive da parte della Fed dovessero giungere al
termine o comunque dovessero essere ridimensionate. Il cambio euro/yen è
un cross secondario, nel senso che non si muove in maniera autonoma ma
deriva il suo valore dalle coppie primarie euro/dollaro e dollaro/yen. A
fronte di una relativa stabilità del cambio euro contro dollaro attorno
all’area 1,30, lo yen sarebbe dunque destinato a svalutarsi anche nei
confronti dell’euro, con il cross in questione che potrebbe salire fino a
140 in un’ottica di breve periodo. Solamente un apprezzamento
pronunciato del dollaro sull’euro potrebbe andare a neutralizzare le
spinte di svalutazione della moneta nipponica nei confronti di quella
europea, ma questo secondo scenario appare meno probabile.
4) Sono sempre in molti a chiedere delle quotazioni dell’oro. Dopo la
grande correzione, è venuto il momento della riscossa per il metallo
giallo?
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Guardi, esattamente due anni fa scrissi un lungo articolo proprio
sull’oro, che fu pubblicato da un noto blog e da altri siti web
economico finanziari, e che non mancò di suscitare parecchie polemiche
sull’argomento. Ho sempre ritenuto il forte rialzo registrato dall’oro
tra il 2007 e il 2011 come una sorta di follia collettiva, che avrebbe
dovuto prima o poi esaurirsi. Il picco di massimo assoluto registrato
nel settembre di due anni fa a 1921 dollari per oncia rappresenta con
elevata probabilità il capolinea di questa euforia irrazionale. Se
prendiamo il grafico dell’oro a partire dal crollo del gold/dollar
standard (il sistema di tassi di cambio fissi meglio noto come Bretton
Woods), cioè dai primissimi anni ’70 ad oggi e lo deflazioniamo (cioè
rapportiamo tutti i prezzi del passato ai livelli reali di oggi)
applicando il tasso medio di inflazione degli USA, possiamo notare che
anche negli anni ’70 si era verificato un forte trend rialzista durato
proprio quattro anni, tra il 1976 e il 1980. Il valore di picco massimo
del 1980 corrisponde proprio, in termini reali, ai 1900 dollari
l’oncia del 2011. Dal 1980 al 2000, cioè nei successivi vent’anni l’oro
è sceso dai 1900 dollari in una fascia di valori compresa tra 300 e
400 dollari l’oncia. Il che sta a significare che tutti coloro che
avessero iniziato ad investire ricchezza sotto forma di oro a partire
dagli anni ’80, avrebbero perso circa il 60% del potere di acquisto da
lì al 2000. La corsa all’oro è sempre determinata da un forte pessimismo
nei confronti dell’economia reale, poiché il metallo giallo viene
erroneamente percepito nell’immaginario collettivo come un bene
rifugio. Vede, il fatto è che l’oro viene considerato dalla maggioranza
delle persone come “prezioso” semplicemente per una questione di
cultura. Purtroppo molti dimenticano che l’ oro non ha alcuna utilità
intrinseca, ma rappresenta semplicemente un succedaneo della moneta. Di
conseguenza un eventuale fenomeno di black swan, di crash globale
delle economie, determinerebbe anche il crollo del prezzo dell’ oro
proprio perché nessuno sarebbe più disposto ad accettarlo in cambio di
beni ad utilità intrinseca (cibo, vestiti, abitazioni, terra, ecc.).
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Detto questo l’ investimento in oro ha senso se si crede che il sistema
attuale sia destinato a durare, e non a crollare, proprio perché l’oro
assume valore (sempre e comunque convenzionale) in una società e in
un’economia avanzate, che hanno già soddisfatto ampiamente i bisogni
primari, e che cominciano ad attribuire un valore crescente a quelli
voluttuari, tra i quali vi è appunto il possesso di monili in metallo e
pietre “preziose”. Tecnicamente, dopo la forte discesa da ottobre 2012
ad oggi, che ha visto crollare le quotazioni da 1800 dollari a 1180
dollari l’oncia, potrebbe verificarsi un cosiddetto rimbalzo da
ricoperture che andrebbe a smaltire gli eccessi di venduto riaggiustando
il prezzo attorno ai 1320/1350 dollari l’oncia. Anche un’eventuale
risalita delle quotazioni fino a 1400/1425 dollari l’oncia non andrebbe
comunque a cambiare lo scenario di fondo, che resta negativo. Quindi
non ci sarà nessuna riscossa per l’oro, e credo che difficilmente lo
rivedremo tornare stabilmente sopra i 1500 dollari l’oncia. Tra
l’altro, in concomitanza con una ripresa generale dell’ economia, e con
l’eventuale inizio di un nuovo ciclo rialzista di lungo periodo da
parte del Dow Jones (di cui si parlava precedentemente), l’oro sarebbe
destinato a scendere stabilmente, e abbondantemente, sotto i 1000
dollari l’ oncia e a ripercorrere lo stesso tragitto degli anni ’80 e
‘90. Ogni rafforzamento delle quotazioni dell’oro è dunque da
interpretare come un’ occasione per liquidare le eventuali posizioni
rialziste in essere, oppure per aprirne di nuove, ma al ribasso, per
chi ha dimestichezza con le operazioni short.
5) Volendo mettere un po’ di pepe al proprio portafoglio – quindi
ragionando in termini di investimenti percentualmente assai ridotti –
quali azioni italiane si sente di consigliare?
Il pepe dicono che sia un ingrediente che faccia male alla salute e
quindi lo sconsiglierei anche a livello di portafoglio azionario. A
parte la fin troppo facile battuta, basata peraltro su un luogo comune,
direi che questa sorta di approccio ludico ai mercati finanziari può
risultare fuorviante tanto quanto quello previsionale. Ci sono molte
persone che periodicamente vanno alla ricerca del cosiddetto titolino
“gratta e vinci”, che quasi sempre è un titolo sottile, di una società a
bassa capitalizzazione, che quota ad un prezzo molto vicino ai minimi
storici, prezzo dal quale si pensa erroneamente che il titolo possa
solo risalire. In questi casi il rischio dell’investimento risulta molto
elevato, e potrebbe comportare l’intera perdita o comunque una
percentuale elevata della cifra impiegata, proprio perché risulterebbe
difficile da liquidare in caso di uscita di notizie negative sulla
società.
Inoltre anche un investimento di entità ridotta potrebbe
comunque impattare negativamente sul risultato di gestione annuale del
portafoglio, magari andando a neutralizzare altre performance positive
ottenute con pazienza nel tempo. Quello che mi sento di consigliare
allo stato attuale del mercato azionario italiano, riallacciandomi
anche alla domanda iniziale, è di cogliere ogni correzione dell’ indice
Ftse Mib come occasione per costruire un portafoglio in chiave
strategica, bilanciato nei vari settori, che potrebbe dare delle ottime
soddisfazioni in un orizzonte temporale di medio/lungo periodo. Se
l’indice dovesse centrare l’obiettivo compreso tra i 23000 e i 24500
punti il pepe non tarderebbe ad arrivare.
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