Riassumiamo qui di seguito l'intervento di Pier Paolo Soldaini su Class-CNBC, all'interno della trasmissione "Trading Room" di stamani 26 giugno 2015, condotta da Emerick De Narda.
La scorsa notte l'indice azionario cinese, il SSE Composite, ha lasciato sul campo qualcosa come il -7,40% scendendo a quota 4192 punti. Ancora peggio è andata allo Shenzen 300, l'omologo cinese del Ftse Mib, che raggruppa i 300 titoli azionari più importanti quotati alla borsa di Shanghai, che ha ceduto il -7,87% segnando 4300 punti in chiusura. Sentir parlare di "crisi greca" come fattore determinante di questo crollo fa un po' sorridere. Teniamo presente che il paniere cinese, SSE Composite, quotava circa 2400 punti solamente lo scorso novembre 2014, e che nella prima metà di giugno 2015 si era apprezzato fino a 5200 punti: un rialzo del +116% circa. Se andiamo indietro fino a luglio 2014, quando i valori si aggiravano attorno a 2100 punti, il rialzo è stato pari al +147% circa. I fattori che hanno determinato questo storno pesante della borsa cinese, le cui avvisaglie si erano già riscontrate nella seduta dello scorso 28 maggio, sono sostanzialmente tre: di fronte ad un rialzo di questa portata, cioè una performance che sfiora il +150% in poco meno di un anno, gli investitori, anche quelli istituzionali, sono propensi a battere cassa portando a casa buona parte dei guadagni realizzati, sottopesando la Cina almeno nel breve orizzonte temporale; la politica monetaria della banca centrale cinese che è diventata restrittiva, tesa cioè a riassorbire liquidità dal sistema bancario; la riduzione della leva finanziaria concessa dagli intermediari delle negoziazioni per l'operatività su questo mercato. In particolar modo quest'ultimo è un fattore strettamente tecnico: i broker, riducendo la leva finanziaria, obbligano gli investitori a reintegrare i margini di garanzia o, in mancanza di questa, a liquidare le posizioni in essere amplificando così il crollo delle quotazioni. Siamo ad un punto di svolta importante sul mercato azionario cinese? Direi di no. Lo storno al quale stiamo assistendo non rappresenta per il momento una vera e propria inversione di tendenza, si tratta solo di un movimento correttivo di natura impulsiva del tutto fisiologico. D'altra parte non era possibile pensare che il tasso di crescita registrato negli ultimi dodici mesi fosse sostenibile ancora a lungo, altrimenti ci saremmo ritrovati con un indice SSE Composite a 10000 punti da qui alla fine dell'anno. Dal punto di vista tecnico possiamo rilevare, nel grafico rappresentativo dell'andamento del paniere, una classica figura di Top head & shoulder (testa e spalle ribassista) che verrebbe completata con la rottura della forte area di supporto statico compresa tra i 4000 e i 4100 punti. Le proiezioni della figura indicherebbero l'area 3400 come possibile target ribassista di breve/medio periodo, quindi un ulteriore ridimensionamento dei valori, dai livelli attuali, del -20% circa. Del resto la correzione in atto era stata ben anticipata da due oscillatori tra i più conosciuti e utilizzati, il Rsi14 e il MACD, che avevano registrato una chiara divergenza di tipo bearish (ribassista) in corrispondenza del massimo relativo di fine aprile e di quello di metà giugno. Il crossover della trigger line da parte del MACD, e la fuoriuscita del Rsi14 dalla sua area di ipercomprato, in concomitanza della secca correzione nelle sedute dello scorso 15 e 16 giugno, hanno poi confermato il segnale. L'area 3400 rappresenta un forte supporto statico di medio e lungo periodo, dal quale transiterà nelle prossime settimane anche la media mobile a 200 giorni. Quindi un'area che, se dovesse essere raggiunta, offrirebbe una chiara occasione di acquisto sulla borsa cinese in chiave strategica, cioè in un orizzonte temporale di più ampio respiro.
La crisi greca ha influito invece sull'andamento degli indici di casa nostra, in particolar modo il Ftse Mib, che ha evidenziato un aumento di volatilità e un andamento altalenante piuttosto nervoso tra i 21900 e i 23800 punti da due settimane a questa parte. Il tira e molla per un compromesso tra la Grecia e l'UE si risolverà senz'altro positivamente. Si troverà un accordo, in un modo o nell'altro, poichè l'evento cosiddetto "grexit" non conviene a nessuno. Di questo accordo andranno a beneficiarne chiaramente le banche, e non è un caso che l'indice rappresentativo del comparto, il Ftse all-share banks, si sia affacciato tra ieri e oggi sopra quota 18000 punti. Un valore che non si registrava dal 2011. L'upside potenziale per questo comparto si individua a 21400/500 punti, quindi un margine di rialzo dai livelli attuali di circa il +20%. I titoli che potrebbero trainarlo sono Banca Popolare dell'Emilia Romagna, e UBI banca. La prima ha già effettuato un importante breakout sulla resistenza statica compresa tra 8,00 e 8,20 euro, e si è portata su nuovi massimi dell'anno a 8,385 euro. Il prezzo potrebbe crescere ancora fino ad un target compreso tra gli 8,80 e i 9,00 euro per azione. Per quanto riguarda UBI possiamo rilevare come il titolo vada a ricalcare l'andamento del Ftse Mib: un trend neutro e laterale con baricentro a 7,30 euro in un range molto ben definito tra 6,80 e 7,70 euro per azione (7,735 a voler essere molto precisi). Nella seduta di ieri (giovedì 25 giugno) il prezzo ha forzato temporaneamente questa resistenza statica andando a segnare un massimo intraday a 7,825 euro, registrando un forte incremento nei volumi di scambio. Il movimento è poi rientrato in chiusura di seduta. Se il titolo dovesse confermare il breakout di 7,70 euro, meglio se in chiusura weekly, lo spazio di apprezzamento si aprirebbe fino a 8,00 euro in prima battuta e 8,40 euro in un secondo momento.
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